Lemuria Indaco Sensoriale

2015 - Vinificato in Ametista - IGT

“L’essenza che è in Te”

L’esperienza Sensoriale con Lemuria è ciò che trasforma un vino in un ricordo prezioso ed indelebile. Impareggiabile con qualunque combinazione culinaria, si muove armoniosamente tra i sapori che incontra, rendendo ogni prelibatezza un’esplosione di gusto e piacere. Un vino anfotero, che capta la personalità di ognuno di noi e restituisce attraverso la complessità della sua sensorialità, l’opportunità di cogliere la nostra essenza.

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Lemuria con il suo color dai riflessi indaco è vinificato in acciaio utilizzando un geode di ametista, così che l’alcool mitigato dalle vibrazioni del cristallo possa diventare “Indaco”. Unendo tradizione enologica e fisica quantistica, si genera un connubio dove Lemuria prende ispirazione. La maturazione in tonneaux di rovere francese per almeno un diciotto mesi, rendono il vino strutturato e sapientemente tannico. L’affinamento in bottiglia di minimo quattro anni permette a Lemuria di trasformarsi definitivamente in “Indaco”. Questo è il tempo in cui il vino si consolida facendo sì che l’energia vitale e il gusto si fondano in un armonioso connubio. Il Lemuria è così pronto per la prova finale. Sfidato in bocca e nel naso, lo abbiniamo in degustazione con centinaia di ingredienti differenti. Se ad ogni assaggio il Lemuria si fonde in armonia con qualsiasi ingrediente, allora può definirsi “Sensoriale”. Lemuria non è un vino bensì un’esperienza di vita. Un solo vino e ben cinque esperienze sensoriali che ti lasceranno senza parole e ti faranno ricordare questo vino per sempre. Ecco il famoso vino indaco sensoriale.

Per assecondare gli auspici di papà Sergio, Andrea ha lavorato molto sulla selezione delle uve e sulle proporzioni tra gli uvaggi , cercando di trovare un’armonia e distaccandosi un po’ dai disciplinari per cercare l’autenticità. Il vino può diventare un’esperienza per conoscere sé stessi: chi capisce che il vino è un ingrediente naturale del tempo, sa che Lemuria permette di vivere le proprie emozioni. Nel Lemuria troverete il meglio della nostra selezione di uve, con sangiovese e poi canaiolo, mammolo, malvasia bianca e merlot. Ecco perché Lemuria è un “vino libero”. Ogni assaggio è un’esplosione di bontà e stupore, tre sorsi per cogliere l’autentico piacere che sa donare Lemuria.

Annata

2015

Vitigni

55% Sangiovese, 27% Canaiolo, 10% Mammolo, 5% Malvasia Bianca, 3%Merlot

Vinificazione

Fermentazione in acciaio con lieviti spontanei, dinamizzazione energetica con cristalli di Quarzo Ametista per 6 mesi, affinamento in legno per 18 mesi,  affinamento in bottiglia per 4 anni e maturazione con la filosofia indaco.

Alcool

13,5%

Formato

0.75L

Temperatura di Servizio

16°C – 20°C

Modalità

Dopo ogni trasporto lasciare riposare il vino per almeno 24 ore

Momento per Degustarlo

Gustare un Vino Sensoriale è un’esperienza unica, perché ad ogni sorso si avvertirà il desiderio e piacere di berlo ancora, senza avvertire il benché minimo disagio. Limpido ed intenso, purpureo, color del Mare al crepuscolo.

Caratteristiche

Elegante e raffinato, un velluto in bocca, vino longevo dalle grandi qualità.

Abbinamenti

Può accompagnare ogni prelibatezza, in virtù della sua qualità “Anfotera” di adattarsi molecolarmente ad ogni pietanza.

Importante

Lemuria è un vino che si adatta all’essenza delle persone, ama chi ama la vita e ne è curioso, tende a rimanere sobrio e anche chiuso con chi non lo rispetta, con chi non crede in ciò che possa essere. Un vino oltre il tempo e frutto dell’antica leggenda del continente di Mu, i cui abitanti i Lemuriano vivevano in simbiosi con gli elementi. La leggenda narra che a loro si deve la creazione del primo vino indaco sensoriale, in grado ad ogni sorso di risvegliare l’amore per la vita e tutti e sei i sensi.

LA PROMESSA A SERGIO, MIO PADRE

Il Lemuria è un vino indaco sensoriale, nato dal desiderio di mio padre, Sergio, di dare al mondo un vino in grado di risvegliare gli animi dormienti e far comprendere che il vino non è solo una sostanza da bere, ma qualcosa di unico, ispiratore e qualcosa che unisce. Sì, questa era la promessa fatta a mio padre nel 2014, una settimana prima che lui se ne andasse e passasse a miglior vita. Erano le 14.00 del pomeriggio quando Sergio viene da me e mi dice:

  • Sergio: Andrea, mi devi fare una promessa. Lo sai che per me la vita è finita, mi manca solo una settimana, ma tu devi continuare e mi devi promettere che rifarai il vino Indaco.
  • Andrea: Cos’è il vino Indaco papà?
  • Sergio: Il vino Indaco è il vino della famiglia, è il vino dei nostri antenati, è il vino dei nostri nonni che prendevano in braccio i nipoti e tutti assieme intorno al fuoco del camino bevevano il vino. Al terzo sorso erano tutti uniti, una sola famiglia, un solo sorriso. Questo è il vino indaco, un vino che unisce gli animi, un vino che mette assieme, che fa scomparire i dissapori e le controversie.
  • Andrea: È bellissimo papà, questa è una grande sfida, ma ti prometto che lo realizzerò, costi quel che costi.
  • Sergio: Sono fiero di te Andrea, lo sai, questo ci riunirà e toglierà tutti i dissapori che si sono creati tra di noi negli anni, il vino indaco unirà anche noi.
  • Andrea: Sì, papà, sono certo che è così. Il vino indaco unirà noi e tante altre persone che degustandolo si sentiranno di nuovo uno con il tutto e in armonia con tutti gli altri.
  • Sergio: Non sarà facile, troverai centinaia di difficoltà, ma io credo in te e nelle tue capacità, ciò che non ti distrugge, ti rinforza e tu sai bene a cosa mi riferisco.
  • Andrea: Sì, lo so, grazie.

Il 2013 era l’ultima base di vino fatta assieme, scegliemmo quella come inizio per il LEMURIA

 

IL CRISTALLO D’AMETISTA

Molti anni orsono avevo la passione dei cristalli e me ne comprai uno, una punta di Ametista di grandi dimensioni, viola intenso e dalle svariate sfumature interne, un qualcosa di unico che sentivo parte integrante di me. Direttamente proveniente dal Brasile, un cristallo come ce ne sono pochi. Quando nel 2003 iniziammo a fare il vino con mio padre, ci venne l’idea di usare di tanto in tanto il cristallo di ametista durante la vinificazione e durante le fasi di luna crescente. Il vino, dopo l’utilizzo dell’Ametista, era sempre più buono, più profumato ed intenso nel colore. Allora di tanto in tanto lo utilizzavamo, ma non potevo sapere che poi avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella creazione del vino indaco Lemuria. Mi ricordo che una volta avevo letto del popolo romano, i cui Senatori amavano utilizzare cristalli di ametista nel vino per mitigare l’effetto dell’alcool e poterne bere di più senza ubriacarsi. Forse leggenda o forse verità non si sa, ciò che è certo è che l’Ametista nel vino, lo cambia, lo rende diverso o come diciamo noi lo rende “Indaco”.

 

LO SCRITTORE OMERO E IL MARE AL CREPUSCOLO

Io e un filosofo, lo stesso che aveva degustato la prima bottiglia di Luteraia 2009, il vino di mio padre, eravamo davanti al camino, qua alla Luteraia, con la prima bottiglia di Lemuria 2013, non ancora ufficiale. Dopo poco, lui mi dice che questo è il vino di Omero, che lo scrittore narra nelle sue opere. Il filosofo mi racconta che in piccole isole della Grecia esisteva una tradizione, cioè di produrre vino simile al color indaco assomigliante alle note cromatiche del mare al crepuscolo. Fin dalle sue origini, la cultura greca considerava il vino un nettare di valore, riservato a uomini speciali, tanto che già Omero ne parlava come di un prodotto destinato ad accompagnare le gesta degli eroi. Omero canta del mare color del vino, “οἶνοψ πόντος”, e dopo di lui numerosi poeti ricordano come il vino ed il mare condividano le stesse profonde sfumature. Ancora oggi in alcune piccole località delle isole greche si serve un vino fatto secondo la tradizione, caratterizzato da colorati riflessi indaco, lo stesso indaco di cui si tinge il mare negli ultimi istanti del giorno, che ha ispirato secoli di canti e opere di poeti. Il vino Indaco è l’immagine di un passato in cui familiari e amici si riunivano intorno ad un tavolo, vicino ad un fuoco scoppiettante, condividendo tra una parola e altri momenti di sincerità.

 

GRECIA E LA STORIA DI DIONISIO E AMETISTA

La parola ametista deriva dal greco antico "amethystos" che significa “non ebbro”. L’origine della credenza che l’ametista desse protezioni dagli effetti dell’alcool e da accomunarsi al colore della gemma che è simile a quello del vino e all’antico mito greco-romano che ad essa è legato.  Il mito greco narra che Dionisio mentre era in preda ai fumi del vino venne insultato da un comune mortale e adirato da ciò, promise di vendicarsi sulla razza umana. Per far questo creò delle feroci tigri, allo scopo di aizzarle contro chiunque avesse incrociato sul suo cammino. Il Fato volle che Dionisio con le sue tigri incrociasse la vergine Ametista mentre si stava recando a porre omaggio al tempio di Artemide, sua protettrice. Alla vista di Dionisio e delle tigri, Ametista fuggì ed il Dio le aizzò contro le belve. Mentre scappava la ragazza pregò Artemide affinché la proteggesse. Udite le preghiere di Ametista, la Dea trasformò la giovane in una statua di cristalli trasparenti di quarzo che le tigri ovviamente non poterono aggredire. Dionisio ripresosi poi dai fumi dell’alcool, si rese conto dell’atto empio che aveva compiuto e del sacrificio della ragazza, pianse quindi lacrime di vino che tinsero i cristalli. In omaggio alla povera Ametista, Dionisio conferì inoltre il potere a questa pietra di proteggere dagli effetti dell’alcool

 

LEGGENDA O REALTA’, LEMURIA

Passione per i cristalli, amore per la tradizione greca, enologo in formazione, promessa a mio padre Sergio e molto altro ancora, tanti pezzi di un unico puzzle che sempre più mi portavano alla ricerca delle origini del vino, della prima vite coltivata, di qualcosa che andasse oltre l’ovvio di una storia raccontata ma forse non vera. Il piacere per la meditazione e l’abilità di poter sognare lucidamente, mi portarono a vivere una notte un’esperienza unica che tutt’oggi ricordo. Per molti anni non ne ho parlato in questi termini, perché il mondo non è aperto al nuovo, tutto ciò che esula dai libri di storia, considerati veri ed autentici, è visto come illusorio e fantastico, oppure esoterico o magico.

Ma forse non è la fantasia ad ispirare le più grandi opere di ingegno dell’essere umano? Eccomi qua, seduto sul divano di Luteraia mentre tengo tra le mani la bottiglia di Lemuria, mi addormento e inizio a sognare. Siamo intono al 2016 e ancora non so bene come mantenere la promessa di mio padre e rifare il vino indaco. Potete prendere quanto scrivo come fantasia, come una storia narrata o come la mia esperienza, quello che conta è ciò che il Lemuria rappresenta. Con la bottiglia in mano ad un certo punto inizio a vivere il sogno, in un altro luogo, familiare ma sconosciuto, qualcosa che solo avevo avuto modo di conoscere nei libri.

Da lì a poco una voce leggiadra sussurra dentro di me e dice: “Lemuria, sei a Lemuria”. Già altre volte ero stato in un posto simile ma per quello che ricordo si trattava di Atlantide, mentre ora la voce mi parlava di Lemuria. Ecco che comprendo dei due grandi continenti scomparsi, esistiti ben di 36.000 anni orsono. Due grandi popoli, gli Atlantidei erano dediti alla cultura tecnologica collegata al potenziale mentale, mentre i Lemuriani erano quello che di meglio può offrire la simbiosi con la natura, delle facoltà mentali collegate alla passione, alla sessualità e al contatto con gli elementi. Di Lemuria oggi, antico continente nell’oceano Pacifico, rimangono solo le resta sull’ isola di Pasqua, i cui Dolmen e Menhir sono il ricordo di questa antica civiltà. Quello che appariva ai miei occhi era meraviglioso, non so descriverlo per quanta magnificenza potevo osservare in quei momenti. Tutto era perfetto, esseri alti circa 2,50 metri, di carnagione rossastra, capelli lunghi ben curati, seminudi. Potrei dire che il film Avatar è stato ispirato all’antica leggenda di Lemuria. L’ambiente era armonico, case costruite in simbiosi con la natura, impossibile comprendere dove finiva una casa e dove iniziava un albero, o una roccia, o un ruscello.

Tutto in perfetta combinazione di elementi. L’atmosfera quasi magica, non potevo credere a quello che stavo vivendo, poi ad un certo punto vedo una zona non molto lontana e scorgo qualcosa di familiare, erano delle viti. Diverse da come siamo abituati a vederle normalmente. Erano degli alberelli alti 2 metri con un tronco lungo, poi in cima dipartivano 3 o 4 rami, li chiameremo oggi degli speroni, e poi tanti capi a frutto che armoniosamente scendevano verso il basso. Una sorta di pergola di viti verdi i cui grappoli armoniosamente si mostravano sotto, grandi, viola, ricchi, suntuosi, quasi che dicessero coglimi e gioisci della prelibatezza dei quali siamo intrisi. Le sensazioni di meraviglia di susseguivano una dopo l’altra, quello che i miei occhi carpivano era qualcosa di unico, una visione che non potrò mai dimenticare. Quei grappoli erano gonfi, pieni, la buccia perfetta, come se la perfezione li avesse baciati. Una ricca vegetazione al disopra dei grappoli, foglie grandi rotonde, poco lancinate con una fitta peluria. Il tronco di un marrone turgido, imponente, credo che le viti avessero non meno di 40 anni. Nessun cavo metallico, solo armoniche strutture in legno, in completa simbiosi con le viti. I bambini giocavano sotto le viti, la vita scorreva sotto quei prosperi grappoli.

Ad un certo punto il tempo ha iniziato a scorrere più velocemente, ed eccomi la, alla raccolta, rigorosamente a mano, i grappoli tagliati con uno strumento simile ad una piccola falce a forma di luna, erano poi riposti in ceste di vimini dalla forma a cono. Zaini a spalla di vimini, colmi di questi grappoli. I vendemmiatori, questi maestosi uomini, scaricavano questi grappoli in grandi cisterne di pietra. Le donne separavano gli acini dai raspi. Un lavoro minuzioso e meraviglioso, sorrisi ovunque, canti, danze. I chicchi così separati venivano poi portati in altre vasche sempre di quarzo ametista scavata, credo fossero di cristallo ma non so ben dire il materiale. Qua, sempre le donne in cerchio pestavano i chicchi con i piedi, le cui dita, ricordo anche ora, erano lunghe tutte uguali. Il succo d’uva fluiva così in altre cisterne sempre di quarzo ametista scavata e poi sempre le donne raccoglievano la parte pressata con i piedi e la mettevano all’interno del contenitore in pietra con all’interno il succo d’uva. Il tempo si è fatto più veloce e lo scenario è cambiato, ed ecco che mi trovo in una grande sala con all’interno tante giare, credo di terracotta con un coperchio strano, ma che mi riportava alla mente la mia ametista. Si le giare contenevano vino, e il coperchio era fatto di pietra d’ametista.  Guardo dentro e scorgo del vino e dal coperchio un lungo cristallo di ametista, in infusione nel vino stesso.

Un Lemuriano là vicino prende una coppa di questo vino, la coppa era di cristallo trasparente, simile ad un nostro comune bicchiere d’acqua. Il colore rosso rubino con forti riflessi indaco, sembrava che il vino parlasse da quanto era vitale. Mentre lo gira, dice che è un vino sensoriale, io mi emoziono e mi commuovo. Il Lemuriano allora prende un grosso recipiente sempre di cristallo, lo riempie di tale vino e lo dà a tante persone li sedute. Tutti bevono, chiudono gli occhi ed entrano in meditazione, sembra quasi che la loro energia vitale si espanda a tal punto da non definire più il limite tra la loro vitalità e il loro corpo fisico.

Ecco che dal nulla una voce mi parla e mi dice:

“Siamo a Lemuria, ma questo lo hai capito. È qua che è nata la prima vite d’uva e il primo vino. Un vino indaco sensoriale, in grado per chi lo degusta di riattivare l’amore per la vita, in grado di riattivare tutti i nostri sei sensi. Un nettare, un elisir di vita, che faccia trascendere il corpo e porti chi lo degusti in uno stato di coscienza espansa, così che possa vivere unito con il tutto, e sentirsi parte essenziale del creato. È bene che tu sappia che la vite fu portata in occidente dai vichinghi e il dopo nella storia lo conosci. Di Lemuria nessuno conosce più nulla, un popolo, una cultura così ricca e in simbiosi con la natura, i quali valori per la vita riecheggiano in ogni essere umano di questo pianeta. Il vino di Lemuria aveva tante proprietà, impossibile definire quali fossero, era più semplice che chi lo bevesse lasciasse che il vino facesse il resto, una magia resa semplice dal sapiente lavoro e cura del popolo di Lemuria.”

Rimango estasiato a sentire queste parole e all’improvviso mi desto di soprassalto e mi trovo di nuovo nel divano con la mia bottiglia in mano. Lì quel giorno decisi che quel vino si sarebbe chiamato Lemuria, e che oltre alla promessa di mio padre, il quale, senza saperlo aveva sentito in sé la voce di Lemuria, sentii che la strada per riuscire a farlo non era lontana, difficile sicuramente, ma non impossibile. I vari elementi si stavano unendo, la promessa di mio padre del vino indaco, la narrazione degli eroi di Omero e del vino indaco, l’uso dell’ametista; tutto si stava collegando affinché Lemuria prendesse vita. Un modo, il mio, di far riecheggiare in quel vino l’antica e sapiente tradizione di fare vino dell’antico popolo di Lemuria.

 

NASCITA DI LEMURIA

Il Lemuria nasce così alla Luteraia, attraverso la sapiente lavorazione del vino con i cristalli di ametista, lieviti spontanei, fermentazione controllata, rimontaggi consapevoli e perfetti delestage. Pressatura soffice e unione tra vino fiore e vino torchiato. Aggiunta della minima quantità di metabisolfito. Lungo affinamento in legno per almeno 18 mesi e poi in bottiglia per affinare lentamente fino a quando il suo aroma, i suoi profumi e il suo bouquet in bocca non siano pronti per farsi sentire da chi lo degusta. Il Lemuria così nato, è pronto a fare il suo viaggio e farsi bere da chiunque trovi in questo vino il ricordo ancestrale del suo tempo vissuto a Lemuria. Un vino ad oggi prodotto in Toscana, sull’ultima collina sotto Montepulciano. Il Lemuria prende vita nel nostro vigneto di 3 Ha, dove si susseguono differenti tipi di terreno, ora grasso, ora sassoso e poi argilloso e poi ancora grasso. Scheletro fine con presenza d’argilla e sassi color ocra che danno la caratteristica colorazione, appunto di “bottaio” come lo definiva mio padre.

L’uva una volta raccolta, rigorosamente a mano, viene poi separata dal suo raspo e i chicchi leggermente pressati messi nel tino d’acciaio. Ogni vitigno è vinificato separatamente così da avere vasche di sangiovese, merlot, e canaiolo, mammolo e malvasia bianca. Un piè di cuvée precedente preparato viene inoculato nelle vasche appena riempite. Il nostro piede è preparato qualche giorno prima utilizzando le migliori uve. Una volta che la fermentazione spontanea è attiva, allora questo piede sarà immesso nelle vasche delle uve appena raccolte e diraspate.

È così che inizia il processo di fermentazione, con lieviti spontanei e ghiaccio secco, per una migliore estrazione del colore dalle bucce, e preservare il vino da alterazioni e spunti acetici.

 

USO DEL GEODE D’AMETISTA

Eccoci giunti all’uso del Geode d’Ametista, che rigorosamente è posizionato in un recipiente in cui viene fatto fluire il vino che poi è rimontato sopra le bucce in fermentazione. Il cristallo viene utilizzato nelle fasi di luna crescente e in giorni di fiore e di frutta del calendario biodinamico.

Sarà superstizione, sarà un caso, ma in questi momenti ho la sensazione che il mondo del vino e quello dei cristalli si fondano. La luna crescente influisce sui liquidi e così avverto che il vino si espande, si rende più ricettivo, più magnetico in grado di assorbire informazioni con più facilità. Ecco che i giorni di fiore e di frutta del calendario biodinamico sono i momenti in cui il vino esprime la sua maggior potenza a livello organolettico, le sue migliori qualità sono completamente espanse, come una sinfonia perfetta con strumenti che risuonano all’unisono.

Ecco che è il momento di usare l’Ametista, che nella mia esperienza riecheggia nel vino la memoria di Lemuria e cambia il vino da rosso a indaco, non so spiegarvi scientificamente questa cosa, ma la sento in me. Qualcosa cambia nel profondo del vino. È come se l’ametista permettesse al vino di rimanere nel suo stato di massima espressione organolettica, così che possa nel tempo esprimere il meglio di se stesso. A fermentazione ultimata e successiva pressatura il vino viene fatto riposare in vasche d’acciaio per alcuni mesi, è questo il momento in cui inseriamo un cristallo d’ametista di più piccole dimensioni, e lo teniamo lì per alcuni cicli lunari, così che la prima informazione veicolata dal cristallo nel vino si mantenga per sempre per tutta la durata di quel vino fino a quando non sia degustato da qualcuno. Ecco che alla fine di questo processo il nostro vino non è più rosso ma indaco e inizia il suo percorso per diventare sensoriale, come lo era quello di Lemuria 36.000 anni orsono.

 

INVECCHIAMENTO E AFFINAMENTO

Il vino indaco è così pronto per andare in legno e rimarrà qua per almeno 18 mesi. Usiamo barrique, tonneaux e grandi botti di legno così da dare una piacevole nota speziata al nostro vino, il giusto equilibrio tannico, così da sprigionare nel tempo tutti i sentori terziari di cui sarà capace. Finito l’invecchiamento in botte di legno, il vino torna in acciaio per alcuni mesi, e qua di nuovo utilizziamo l’ametista per riecheggiare nel vino il ricordo di Lemuria. Infine, in bottiglia, nel suo prezioso scrigno , dove rimarrà per tutta la durata della sua vita. Preferisco lasciare il Lemuria per almeno 4 anni in bottiglia prima di farlo conoscere, perché è il tempo minimo affinché tale prelibatezza possa raggiungere l’inizio della sua piena maturità.

 

IL SUO VESTITO, ETICHETTA E CAPSULA

Eccoci giunti a fine 2019, il primo Lemuria è pronto, scegliamo la sua etichetta rigorosamente fatta in scala Fibonacci così che l’armonia della natura risuoni in tale vino. Ogni colore non è scelto a caso, il ciclamino della sua etichetta e il colore della sua capsula ricordano la purezza del colore del vino appena fermentato. Inoltre, tale colore mi ricorda quello che avevo visto a Lemuria, tutto sembrava intriso di questo colore, le donne si adornavano il volto con tale colore preso dai contenitori che avevano visto il vino fermentare al suo interno. Tutto deve essere armonico in Lemuria. Il suo logo centrale, un mandala, è ispirato a Lemuria, alla passione all’amore per la vita. Un mandala che esprime l’essenza della nostra esistenza.

 

VINO INDACO SENSORIALE

Finalmente dopo tanta lunga attesa abbiamo la nostra prima bottiglia di Lemuria 2013. Un vino ispirato a mio padre Sergio, a tutte le persone che mi hanno aiutato a farlo, a Omero che ne narra la sua presenza in Grecia, a Lemuria e alle sue tradizioni.

Una volta aperto inizia a farsi conoscere, non è un vino per tutti ma per molti. Lemuria sceglie da chi essere bevuto e da chi essere venduto. Questo vino cerca persone sensibili che amano la vita che credono negli stessi valori che esistevano al tempo dell’antica Lemuria. Qualcosa che non si può spiegare a parole ma che si percepisce ogni volta che si degusta Lemuria. Un vino senza tempo, oggi siamo nel 2024, Lemuria ha ben 11 anni e ancora fa parlare di sé, splendido in ogni suo aspetto, sia olfattivo che organolettico. Lemuria è un messaggio per questo mondo, un anelito che ci stimola a ricordare la nostra natura simbiotica con i valori umani, con ciò che siamo nel profondo della nostra essenza. Il Lemuria non è un vino ma un’esperienza di vita. Chiunque lo abbia assaggiato ha piacevolmente notato che sia semplice berlo, è come se lui intelligentemente sapesse chi lo sta bevendo e si trasformasse nel calice, così da poter esprimere il suo meglio. Un vino camaleontico in grado di combinarsi armoniosamente con qualunque prelibatezza culinaria, un dono per il naso e per il palato.

Chi conosce Lemuria attraverso di me, ha sicuramente provato almeno le prime 3 esperienze sensoriali:

  1. Il matrimonio, carpire i profumi e poi bere Lemuria, sentire se nasce il matrimonio tra noi e Lemuria, e tra Lemuria e noi.
  2. L’esperienza sensoriale con il cibo, degustare Lemuria abbinandolo agli ingredienti più disparati, esso saprà sapientemente “suonare sempre una sinfonia differente per ogni abbinamento, ma perfetta ogni volta”. Un vino adattogeno che saprà adattare la sua qualità anfotera in ogni combinazione culinaria. Lui non sovrasterà mai l’alimento, ma farà sempre in modo che l’essenza di ciò che si degusta sia la protagonista.
  3. Scambio dei bicchieri, si hai capito bene, ad un certo punto far scambiare i bicchieri a chi lo degusta, e la meraviglia sarà sovrana. Ogni calice infatti è differente, perché Lemuria è intelligente e nel tempo della sua maturazione ha acquisito la capacità di adattarsi all’essenza di chi lo degusta, così che ognuno attraverso di lui possa sentire sé stesso. Vino Veritas.

 

UNICITA’ DI LEMURIA

Il mondo del vino è vasto e variopinto, milioni di etichette, migliaia di produttori, tutti accomunati dall’alchimia di trasformare l’uva in nettare degli Dei, il vino. Il Lemuria non è il migliore vino del mondo, ma è unico nel suo genere. Come dall’antica Lemuria il nostro vino è un messaggio al mondo, per tutti coloro che non vogliono solo degustare qualcosa di meraviglioso, ma tornare ad essere l’espressione consapevole della propria bellezza, del proprio spirito e della propria essenza.

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